L’ASSEMBLEA
LEGISLATIVA DELLE MARCHE
Premesso che nel nostro Paese, in ambito medico sanitario il
diritto all’obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato
per legge;
-
che l’esercizio del diritto all’obiezione di
coscienza da parte del personale sanitario in relazione all’interruzione
volontaria di gravidanza riveste particolare importanza, per le sue ricadute
socio-sanitarie sulle donne e sulla stessa funzionalità del servizio sanitario
nazionale;
-
che in data 8 marzo 2014 il Consiglio d’Europa
si è così espresso, in merito al ricorso
presentato nel novembre 2012 dall’International
planned parenthood federation european network (Ippf): “A causa
dell’elevato e crescente numero di medici
obiettori di coscienza, l’Italia viola i diritti delle
donne che, alle condizioni
prescritte dalla legge 194 del 1978, intendono interrompere la gravidanza”;
-
che l’ultima relazione sullo stato di attuazione
della legge n.194 del 1978, presentata al Parlamento dal Ministro della salute
il 9 ottobre 2012 registra il 69,3% dei ginecologi del servizio pubblico come
obiettore di coscienza;
-
che si ricordano, in tal senso, i dati resi noti
da LAIGA (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’applicazione della
legge 194) il 14 giugno 2012, dai quali emerge una situazione reale ancora più
complessa di quanto riportato nella relazione ministeriale;
-
che molte strutture ospedaliere per garantire
l’applicazione della legge ricorrono a specialisti esterni convenzionati con il
sistema sanitario ed assunti esclusivamente per le interruzioni di gravidanza o
a medici “a gettone” con un significativo aggravio per il Sistema sanitario
nazionale;
-
che a livello regionale, la principale
conseguenza di un numero così elevato di obiettori di coscienza è quella di
rendere sempre più difficoltosa la stessa applicazione della legge n.194 del
1978 con effetti negativi sia per la funzionalità dei vari enti ospedalieri e
quindi del sistema sanitario regionale, sia per le donne che ricorrono
all’interruzione volontaria di gravidanza;
-
che la complessità dello stato di applicazione
della legge comporta l’allungamento dei tempi di attesa, con maggiori rischi
per la salute delle donne e maggiori rischi professionali per i pochi non
obiettori, costretti loro malgrado ad una cattiva pratica clinica;
-
che a fronte di questo “stato di emergenza” le
donne devono spesso migrare da una città all’altra o da una regione all’altra o
addirittura all’estero ed in particolare tra le immigrate, risulta il ricorso
all’aborto clandestino;
-
che il diritto all’obiezione di coscienza in
materia di aborto per il personale sanitario ed esercente le attività
ausiliarie è sancito dall’articolo 9 della suddetta legge n.194 del 1978, che
allo stesso tempo prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura
autorizzate siano “tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle
procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza e che la Regione ne controlla e
garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”;
-
che la legge n.194 del 1978 prevede quindi
scelte individuali e responsabilità pubbliche e che l’obiezione di coscienza è
un diritto della persona ma non della struttura e che pertanto la stessa ha
l’obbligo di garantire l’erogazione delle prestazioni sanitarie;
-
che dal 2009 l’AIFA ha autorizzato l’immissione
in commercio del mifepristone, denominato anche “Ru486”, per l’interruzione di
gravidanza farmacologica, nel rispetto dei precetti normativi previsti
dall’articolo 8 della legge n.194 del 1978 e che tale articolo prevede che
l’interruzione di gravidanza possa esser praticata in ospedali pubblici
generali e specializzati e in “case di cura autorizzate e presso poliambulatori
pubblici adeguatamente attrezzati” e che il Ministero della salute pro tempore,
in data 24 novembre 2010,
ha chiesto in proposito il parere del Consiglio superiore
di sanità e che questo nella seduta del 18 marzo 2011, ha individuato il
ricovero ordinario come il regime più idoneo per l’interruzione di gravidanza
farmacologica;
-
che risulta improrogabile la necessità di
valorizzare e ridare piena centralità ai consultori, quale servizio per la rete
di sostegno alla sessualità e alla procreazione responsabile, come conferma
anche l’ultima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione delle legge
n.194 del 1978 secondo cui “nel tempo i consultori familiari non sono stati
potenziati né adeguatamente valorizzati e che in diversi casi l’interesse
intorno al loro operato è stato scarso ed ha avuto come conseguenza il mancato
adeguamento delle risorse, della rete di servizi degli organici e delle sedi.
IMPEGNA LA GIUNTA
REGIONALE
·
A garantire il rispetto e la piena applicazione
della legge n.194 del 1978 su tutto il territorio regionale, nel pieno
riconoscimento della libera scelta e del diritto alla salute delle donne, in
tutte le strutture pubbliche e private della Regione;
·
ad attivarsi perché l’interruzione volontaria di
gravidanza medica con farmaco RU486,
possa essere praticata in regime di day
hospital;
·
ad assumere ogni iniziativa di competenza
affinché la gestione organizzativa e del personale delle strutture ospedaliere
sia realizzata in modo da evitare che vi siano presidi con oltre il 30 per
cento di obiettori di coscienza;
·
ad assumere iniziative finalizzate a prevedere
che il requisito della non obiezione sia condizione all’espletamento delle
funzioni apicali nelle strutture di ostetricia e ginecologia dei presidi
ospedalieri;
·
ad assumere iniziative volte a prevedere che i
medici di famiglia siano tenuti a comunicare agli ordini provinciali dei medici
ai quali sono iscritti, se intendono esercitare il loro diritto all’obiezione
di coscienza, facendo si che da dette comunicazioni i suddetti ordini ricavino
un apposito elenco pubblico;
·
ad assumere iniziative per valorizzare e ridare
piena centralità ai consultori familiari, quale servizio fondamentale nell’attivare
la rete di sostegno per la sessualità e la procreazione responsabile.
Raffaele Bucciarelli